Il mondo incantato di Barbaglia

Pontremoli, 16 luglio 2017 – Il giorno tanto atteso è arrivato. Sapremo chi tra i sei finalisti si aggiudica il Premio Bancarella 2017. Con tutto il rispetto per gli altri autori, per me il vincitore è, qualsiasi sia il verdetto della giuria, Alessandro Barbaglia.

finalisti del Premio Bancarella 2017 sono“Il giardino dei fiori segreti” di Cristina Caboni, “I Medici – Una dinastia al potere” di Matteo Strukul (adesso sappiamo che è il vincitore, ndr), “La guardia, il poeta e l’investigatore” di Jung-myung Lee, “Gocce di veleno” di Valeria Benatti, “Magari domani resto” di Lorenzo Marone e “La Locanda dell’Ultima Solitudine” di Alessandro Barbaglia.

Quando la mia amica libraia Federica Falconi della Mondadori di Grosseto mi ha proposto di presentare il romanzo “La Locanda dell’Ultima Solitudine” in un pomeriggio di primavera mi sono riservata di rispondere dopo averlo letto. Perché non potrei presentare un libro che non mi piace. Lei sorrideva, lei che mi conosce bene già sapeva che quel romanzo mi avrebbe incantato.

È come con le persone, o mi innamoro subito o non succederà mai. Non leggo la quarta di copertina, né le parti interne che riportano la sinossi. Voglio scoprire tutto da sola. Dalle prime pagine già sentivo tutto il piacere della lettura, tanto da non voler andare troppo avanti ogni sera, per averne ancora un po’. E spero tanto che Barbaglia scriva molti altri libri, che saranno la mia coperta di Linus. Adoro “La Locanda dell’Ultima Solitudine”, la storia, le sue parti originali e fantasiose, ma soprattutto lo stile quasi fiabesco, eppure ironico, mai sdolcinato. È stata quindi una gioia averlo potuto presentare il 18 maggio 2017 a Grosseto, conoscere Alessandro, trovare subito una grande sintonia. Un’empatia che ci ha permesso di parlare insieme del romanzo senza aver concordato tempi e domande, sono venuti da sé, con naturalezza.

Pubblicato da Mondadori, “La Locanda dell’Ultima Solitudine” è il romanzo d’esordio di Alessandro Barbaglia, poeta e libraio di Novara. Leggerlo mi ha suscitato lo stesso incanto che si prova da bambini quando ci leggono una fiaba. I protagonisti della storia narrata sono Libero e Viola, che vivono in due realtà diverse seppur non distanti. Libero nella grande città e Viola nel piccolo paese di Bisogno. Seguiamo le loro vite che scorrono in maniera indipendente e non sappiamo se a un certo punto si incontreranno nel loro cammino. E questo non lo posso svelare.

Libero e Viola sono due personaggi molto particolari. Libero adora le attese, in particolare l’attesa di Lei, la donna della sua vita, una figura che ha idealizzato. Se la immagina bellissima, con labbra rosse come il vino Nebbiolo e pelle di vaniglia. Libero vive in una casa tutta blu e quasi vuota perché vuole aspettare Lei per riempirla insieme di oggetti. In questo vuoto spicca un baule, che a Libero è stato dato da una sua vicina di casa mentre stava traslocando. Dentro al baule c’è solo un biglietto da visita, quello della Locanda dell’Ultima Solitudine, descritta come il posto più bello del mondo. Ed è qui, in questo luogo magico, arroccato su uno scoglio, dove il mare si unisce al cielo, che Libero fa una bizzarra prenotazione. Già, perché Libero telefona e prenota per due persone ma a distanza di 10 anni. Un tempo secondo lui sufficiente di attesa per trovare la sua Lei.

Viola, invece, è una ragazza un po’ ribelle, è impaziente di andarsene dal suo paesello, vuole viaggiare e fare esperienze. La sua famiglia ha una particolarità. Le donne, di generazione in generazione, si tramandano l’arte di accordare i fiori. Infatti, se sono fuori tono, i fiori possono mandare messaggi negativi. Soprattutto la menta diventa una grande bugiarda.

L’altra grande protagonista è la locanda, che racchiude in sé una storia che ci riporta a un episodio della Seconda guerra mondiale. È un posto magico, dove avvengono cose straordinarie. Più facili da credere che da capire.

Durante la presentazione, ho potuto chiedere a Alessandro alcune curiosità, domande che mi sono posta mentre leggevo il libro.

La Locanda è localizzata vicino a Camogli, a Punta Chiappa per l’esattezza. Ma esiste davvero?

“Nel 1960 mio nonno Enrico, partigiano e falegname, comprò insieme a un amico un terreno lontano rispetto a dove abitavano. Così se vengono i tedeschi col cazzo che ci trovano! Questa storia ce la facevamo raccontare da piccoli, anche solo per sentire l’unica parolaccia che diceva. Quando mio nonno è morto abbiamo ereditato questo terreno, che pensavano non esistesse. Che fosse solo un’invenzione. Questa leggenda familiare è stata fonte d’ispirazione… A Punta Chiappa sono arrivato un giorno per caso. Un posto bellissimo, scoglio, mare, cielo, luna. E mi sono detto: è qui che sarà la locanda di Enrico”.

Quindi il romanzo nasce da un luogo o da un concetto?

“Quando ho iniziato a scriverlo avevo solo la storia di mio nonno. Ma tutto il libro parte da una domanda: si può avere nostalgia del futuro? Di qualcosa che non è ancora arrivato? Sì, certo. Ma anche no. Libero è convinto che nella vita le cose basta attenderle. Lui ha nostalgia del futuro e riesce a fare una prenotazione per una data distante dieci anni dal suo presente. Ma volevo rispondere anche di no alla nostalgia del futuro. Ci voleva coraggio. Ci voleva una donna, Viola. È un fiore, radicata nel suo paese, Bisogno, ma lei ha altri bisogni. Allora le possibilità sono: andare via oppure mettere gambe alle proprie radici. Per Viola non ci può essere nostalgia del futuro. Queste due risposte così distanti si incontrano”.

Assomigli più a Libero o a Viola?

“Sono Libero nella prima parte del libro. Fa confusione tra aspettare e attendere nel senso di tendere a un obiettivo, proprio come me. Ma voglio molto bene a Viola, con questa mamma un po’ pazza e le sue stanze per fare gridare le persone come terapia liberatoria. Mi piacerebbe dire che sono più simile a Viola ma non è così”.

Immagino che da libraio avrai organizzato molte presentazioni di autori. Come ti trovi dall’altra parte?

“Fortunato di vivere questa esperienza, in realtà in un terreno che non sento tanto mio. Considero il mio maestro Dino Buzzati. A volte lo sogno e conversiamo. Mi capita di sognare anche Calvino, ma non mi parla. Sono felice di essere stato scelto come finalista per il Premio Bancarella e del percorso vissuto insieme agli altri autori, di aver portato il libro in giro per l’Italia e incontrato molti studenti”.

Il mio consiglio è di leggere il libro di Barbaglia ma anche di andare alle presentazioni perché lette e spiegate da lui le parole, le scene, acquistano un sapore più intenso. E potrete scoprire molto altro del libro e del suo autore.

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