“Un romanzo inglese”, le donne e la guerra nel libro di Stéphanie Hochet

Con stile garbato, la scrittrice Stéphanie Hochet nel libro “Un romanzo inglese”, appena uscito in Italia con la casa editrice Voland e la traduzione di Roberto Lana, ci conduce nel Sussex del 1917. La scrittura però inizia a scavare sulla superficie delle apparenze, lasciandoci entrare nei pensieri contrastanti dei personaggi che dominano la narrazione. Un romanzo profondo, a tratti doloroso, per la forza dirompente e inaspettata con cui certe verità si stagliano all’improvviso davanti agli occhi.

All’annuncio sul “Times” per la ricerca di una governante, che si prenda cura di un bambino di quasi tre anni, risponde George. Anna, moglie di Edward e madre del piccolo Jack, vuole tornare a occuparsi del proprio mestiere di traduttrice. Leggendo la lettera di risposta all’annuncio sul giornale che si conclude con la firma George, Anna immagina che la governante sia una donna e che come la scrittrice George Eliot abbia deciso di usare uno pseudonimo maschile. Questo la entusiasma poiché è appassionata di letteratura e il suo entusiasmo diventa anche mio: torno col ricordo ai tempi universitari della facoltà di lingue e letterature straniere, in cui divoravo romanzi inglesi. Il libro è intessuto di citazioni esplicite o sottese a grandi scrittori, Emily Brontë, Thomas Hardy, Joseph Conrad, Shakespeare, Virginia Woolf, D.H. Lawrence, Joyce, Emily Dickinson… La narrazione, talvolta in prima e altre in terza persona, svela i ragionamenti dei personaggi, le loro paure, i loro desideri. Siamo nel 1917, la popolazione è stremata dalla guerra. Anna e Edward, con domestiche al seguito, hanno lasciato Londra per i continui bombardamenti a cui è sottoposta la città e si sono rifugiati nel loro cottage nel Sussex, in campagna. Pur appartenendo a una classe agiata, si trovano anche loro a fare i conti con la fame. E la gelata notturna delle poche verdure nell’orto può voler dire che non ci sarà niente da mangiare. La guerra si è portata via quasi tutti gli uomini, sono in trincea a combattere, sono morti nel fango delle Fiandre. È alle donne che sono rimaste le redini di tutto. Pur nelle ristrettezze, la famiglia di Anna e Edward non rinuncia ad alcune abitudini, come il rito del tè.

L’arrivo di George, che poi è un ragazzo e non una donna come aveva immaginato Anna, è dirompente nel ménage familiare. Jack si affeziona moltissimo a George, sembra preferirlo ai propri genitori; del resto è con lui che trascorre la maggior parte del tempo, è solo con lui che gioca, si diverte, impara. È soltanto George che lo aiuta a mangiare, lo veste, e gli pulisce il naso. Anna lo ammira ed è sollevata. Edward, invece, è geloso. Le tante qualità di George, un uomo gentile e bello che sa ascoltare, con cui è piacevole conversare, che è disinvolto e amabile con i bambini, mettono ancora più in risalto le mancanze di Edward, marito e padre assente, concentrato solo sul suo negozio di orologi e su quei marchingegni perfettamente ordinati e sempre uguali.

“Restituisco a George quello che mi dona. L’ascolto, lo sguardo, l’attenzione. È meglio diffidare di certe intimità, ma ciò non mi impedisce di apprezzare il cambiamento, il benessere che consiste nell’esistere agli occhi di qualcuno”.

Anna è una donna molto cerebrale, quasi ossessiva in alcuni pensieri ricorrenti, forse anche a causa di questo isolamento che sta vivendo rispetto a una vita più sociale e varia nella grande città. La guerra è comunque una presenza che pesa sulle loro esistenze, anche se nel Sussex non arrivano le bombe, ne sentono tutte le conseguenze, compresa la preoccupazione per un cugino al fronte di cui non si sa più nulla. Alcune questioni sono legate a quel tempo e oggi possiamo considerarle superate, come il voto alle donne. Ma ci sono aspetti ancora attuali, pur a cento anni di distanza. I condizionamenti della società sulla donna, che se non diventa madre è spesso giudicata di minor valore, e che però se è madre deve bilanciare tutti i ruoli, donna, moglie, madre, perdendo spesso di vista sé stessa. Un gesto di libertà è possibile, ma se fosse un romanzo inglese dell’Ottocento o dei primi del Novecento, non potrebbe avere che un finale drammatico. Anna cosa deciderà di fare? Voleva veramente questo bambino? Lo ama ma a volte non si sente capace di occuparsene e prova pensieri di cui ha timore. Anna prova l’ebrezza della vita che rinasce, passeggiando per le vie di Londra, dopo la fine della prima guerra mondiale. Riuscirà a fare a meno di quella libertà gioiosa e a tornare nella ragnatela di Edward?

Nella parte finale del libro è Jack in primo piano. Lui che è nato con lo scoppio della prima guerra mondiale, adesso si trova catapultato nel secondo conflitto mondiale. Di nuovo sirene, aerei che bombardano, e il coraggio dei giovani piloti della mitica Raf, la Royal Air Force. Non emergono dunque solo la questione femminile, il bisogno di “a room of one’s own”, i condizionamenti sociali, l’incapacità di esprimere i propri sentimenti e affermare i propri desideri sopra le convenzioni. È la guerra che sta sotto a tutta la narrazione per riesplodere nel finale, lasciandoci senza fiato.

 

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