“E allora signori miei, il rimedio: la mobilitazione delle coscienze. Solo così, quando tutti noi saremo sensibilizzati, quando ci sentiremo solidali con chi è caduto, quando avvertiremo imperioso il bisogno di compiere il nostro dovere di cittadini: solo così si potrà dare un contributo per la lotta contro la mafia”. Il messaggio che ci lascia in eredità Rocco Chinnici campeggia sulla prima pagina del libro “È così lieve il tuo bacio sulla fronte” scritto dalla figlia maggiore Caterina Chinnici (Mondadori 2013), da cui è tratto il film tv di Michele Soavi, che porta lo stesso titolo, in programma martedì 23 gennaio in prima serata su Rai Uno. A dare volto al magistrato ucciso dalla mafia il 29 luglio 1983 a Palermo con una autobomba mentre usciva dal portone del suo palazzo, è Sergio Castellitto. Vedremo la sua vita professionale ma anche quella privata, svelata nel romanzo appassionato di Caterina Chinnici, a sua volta giudice, anche lei sotto scorta. Il film, come il libro, si apre proprio con l’attentato in cui muoiono il giudice Rocco Chinnici, gli uomini della sua scorta e il portiere dello stabile dove il magistrato viveva insieme alla moglie e ai figli. Rocco Chinnici era da tempo nel mirino. Innovatore e precursore dei tempi, aveva intuito che, per contrastare efficacemente il fenomeno mafioso, era necessario riunire differenti filoni di indagine, comporre tutte le informazioni e le conoscenze che ne derivavano. Per farlo, riunì sotto la sua guida un gruppo di giudici istruttori: Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e Giuseppe Di Lello. L’anno dopo la sua morte, questo gruppo prese il nome di “pool antimafia”.
Chinnici ha preparato il caffè e lo ha portato ai figli Elvira e Giovanni, come ogni mattina. Caterina, interpretata da Cristiana Dell’Anna, si trovava invece a Caltanissetta, lungo il tragitto tra casa e il tribunale. Appena chiusa la porta, la 126 verde imbottita di tritolo esplode, i vetri di ogni finestra saltano in aria. L’albero davanti a casa si polverizza. “Erano le 8.05 del 29 luglio 1983. Un momento qualsiasi è diventato quello in cui il dolore si è annidato dentro di me. Nel tempo ha cambiato forma – si è allargato, è sprofondato, si è nascosto, talvolta è esploso – ma non se ne è mai più andato”, scrive Caterina Chinnici. Lei, i suoi fratelli e la madre, rimasti monchi, hanno dovuto imparare nuovamente a vivere. Caterina Chinnici racconta la loro vita di prima, serena nonostante le difficoltà, e quella dopo il giorno che ha cambiato tutto. Ma la memoria non si uccide. Ho incontrato Caterina Chinnici nel 2015, quando è venuta a Grosseto per parlare agli studenti di mafia, di storia, degli insegnamenti di suo padre, uno sprone ancora forte per la nostra società.
“Deve essere una cosa di famiglia: papà amava il penale e ha insegnato a me a fare lo stesso”. Un altro grande amore condiviso è quello per Palermo, “una città che resiste: alla calura, alla sua gente, al disordine”. “A Palermo la luce è assoluta, il cielo azzurro, uniforme, anche quando il sole pretenderebbe di deformare i contorni con il suo calore asfissiante”.
Rocco Chinnici pensava al suo lavoro come a una missione e ne era completamente assorbito. Diceva che i mestieri più belli sono tre e cominciano con la lettera “m”: il maestro, perché forma i ragazzi; il medico, perché salva le vite umane; il magistrato, perché interviene sulla società e, lottando contro l’illegalità, sulle vite di tutti, consentendo a ciascuno di esercitare i propri diritti”.
Il lavoro lascia piccoli spazi alla famiglia e alle amicizie. “Sia papà che Paolo Borsellino avevano accanto donne dolci e solo apparentemente fragili, con un vero talento per la comprensione. Donne che sapevano governare con serenità situazioni critiche… Capitava spesso che Paolo venisse a trovarci in campagna, a San Ciro, con tutta la famiglia”.
Li scelse uno per uno, i “suoi” giudici. Paolo Borsellino, che lo affiancava da qualche anno; Giovanni Falcone, più tardi anche Giuseppe Di Lello. Solo dopo la sua morte, Antonio Caponnetto dette un nome ufficiale al modo di lavorare di Rocco Chinnici e alla sua squadra, pool antimafia.
“Chinnici – commenta Castellitto – è stato non solo uomo delle istituzioni, ma un padre esemplare, esempio per le nuove generazioni. Un uomo da ricordare. Un uomo che non ha mai ceduto al ricatto”.
“È stata un’emozione enorme – dice Caterina Chinnici – vedere da spettatore la propria storia”.
Europarlamentare, Caterina Chinnici come il padre porta avanti la lotta alla mafia non solo con il proprio lavoro ma anche cercando il contatto diretto con i giovani. Rocco Chinnici amava andare nelle scuole, dove iniziò a parlare di mafia quando ancora non la si conosceva né tanto meno combatteva.